Arriva a sentenza un grave caso di violenze psico-fisiche ai danni di una giovane donna maltrattata in mille maniere, picchiata e rinchiusa in un box a Roma dal fidanzato 20enne, ora condannato a 12 anni di carcere.
Quante donne non riescono ad uscire da condizioni simili, perché credono sia amore? Ben cinque anni di lente ma continue pressioni, un vero e proprio plagio che ha portato la ragazza a versare in un grave stato di deperimento psico-fisico.
Ebbene, le donne di ogni età sappiano che non sono sole: chiamando il 1522 (numero SOS h24 antiviolenza) possono uscirne facendosi – gratuitamente – aiutare. Non è mai ammissibile la violenza, né tanto meno credere di averla provocata.
Il soggetto violento inizia sempre con il circuire la sua vittima, per poi svilirla e isolarla dagli altri. Convincendola di essere lui l’unico suo riferimento, esercita su lei un potere totalizzante.
La cosa da fare è togliere attenzione al reo, così da destabilizzarlo, e affidarsi all’aiuto dei centri antiviolenza cittadini, compiendo un percorso di rinascita e amor proprio partendo da sé.
La ripresa della donna è rapida, ma il sostegno giuridico è fondamentale (per non lasciare spazio al rancore di lui), tanto quanto quello psicologico (per recuperare il tempo perduto).
Alla violenza fisica si arriva dopo mesi, anni di violenza verbale, economica, sociale, che la donna in stato di prostrazione emotiva arriva a credere anche di meritare, avendo perso lucidità di giudizio.
La realtà è la prima cosa che l’uomo violento cerca di mistificare, accusando la partner di ogni sua scelta, effetto e reazione inconsulta. Crea una dipendenza psicologica tramite il ricatto affettivo: “penso io a te”, usando invece la compagna solo come valvola di scarico.
La denuncia è un’ arma infallibile della donna contro questi assassini, insieme alla consapevolezza del proprio valore come persona, detentrice di diritti e meritevole d’amore vero. E, in mancanza di ciò, meglio una sana solitudine che un amor tossico.