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di Barbara Ruggiero

L’Ucraina è una spina nel fianco di Mosca da tanti anni. Lontano dall’essere un Paese neutrale, Kiev accarezza l’idea di aderire alla Nato e porgere la guancia all’Occidente da oltre vent’anni. Chissà se furono proprio gli americani i registi e i finanziatori della più grande pulizia etnica da parte delle milizie nazionaliste ucraine che guidarono “le rivoluzioni arancioni” tra il 2004  e il 2014 nel Donbass?

La storia è chiara, questa regione a ovest di Kiev, abitata perlopiù da popolazione russa,  in otto anni di guerra ha subito, nel completo silenzio e indifferenza del mondo, oltre 25.000 vittime e due milioni di sfollati.  Il 18-20 febbraio 2014, nell’ambito del conflitto ucraino, sono rimaste uccise almeno cento persone in piazza Maidan, a Kiev.

In controtendenza rispetto alla versione immediatamente fornita dai media internazionali, alcune intercettazioni emerse hanno rivelato che la strage sarebbe stata compiuta da cecchini agli ordini della nuova coalizione filo-occidentale.

In particolare: a tre anni di distanza dai fatti un servizio esclusivo dell’inviato di guerra Gian Micalessin nell’inchiesta «Ucraina, le verità nascoste», ha portato alla luce le confessioni di alcuni degli stessi cecchini di Maidan che hanno ammesso come dietro la strage di dimostranti e poliziotti non ci fossero gli uomini del presidente filo-russo Viktor Yanukovich, ma piuttosto i capi dell’opposizione appoggiata dall’Unione europea.

Le regioni russofone, quindi, sono state per anni teatro di una pulizia etnica da parte delle milizie nazionaliste ucraine, ispirate a tetri ideali nazisti, e migliaia di civili e militari sono caduti solo per non aver voluto recidere i loro legami culturali e storici con Mosca.

Piuttosto di risolvere il conflitto interno di un Paese già gravemente in conflitto con se stesso, Kiev ha accarezzato l’idea di aderire alla Nato, con la sicura approvazione di Washington, ben consapevole che dall’Ucraina i missili possono colpire Mosca in meno di 8 minuti, senza dare ai russi il tempo di difendersi. Un rischio che Putin ha calcolato anche sulla base di molti precedenti.

A cominciare da quando America e Nato, del tutto inutilmente, bombardarono la Serbia, la più antica alleata della Russia, ne invasero il Kosovo e ne fecero uno stato indipendente, per 20 anni non riconosciuto da alcuna nazione al mondo. Era il 1998. Nel ’97 Clinton aveva allargato la Nato a una dozzina di paesi est-europei, allo scopo di stringere d’assedio la Russia.

Si potrebbero raccontare altri misfatti americani: invasioni, colpi di stato, bombardamenti (Libia, Yemen, Siria, ecc.), migliaia di omicidi con i droni, strangolamento economico con le sanzioni (Cuba, Venezuela, Iran, Nord Corea), torture (Abu Ghraib e altrove), rapimenti, prigionieri detenuti da 20 anni senza alcuna prova.

 L’allargamento a est della Nato, dopo la dissoluzione dell’Urss, nel 1991,  si è allargata includendo molti Paesi storicamente all’interno dell’orbita russa. A eccezione degli Stati dell’ex Jugoslavia, tutti i Paesi entrati nell’Alleanza Atlantica dal 1991 a oggi erano infatti (fino a quella data) parte dell’Unione Sovietica o legati a essa dal Patto di Varsavia.

Parliamo di Polonia (1999), Repubblica ceca (1999), Ungheria (1999), Lettonia (2004), Lituania (2004), Estonia (2004), Romania (2004), Bulgaria (2004), Slovacchia (2004). Da allora la Nato si è allargata anche ad Albania (2009), Croazia (2009), Montenegro (2017) e Macedonia del nord (2020). Siamo sempre convinti, allora, che le colpe della guerra in Ucraina stanno tutte da una parte sola?