La storia insegna: ristudiamola

Abbiamo chiesto alla psicoterapeuta e formatrice manageriale prof.ssa Giovanna Kiferle quale sia il miglior approccio per affrontare il periodo surreale che stiamo vivendo tutti. Una pandemia rientrata – oggi, 10 settembre 2021: Rt 0,92! – vorrebbe legittimare un mezzo di controllo sociale tecnologico da molti studiosi, giuristi, scienziati e persone comuni giudicato un mezzo coercitivo e anticostituzionale, in piena violazione dei diritti umani.

Atterrisce il pensiero unico degli Stati veicolato attraverso i mezzi d’informazione, e la bieca censura verso chi “osa” dissentire, seppur con fonti verificate, casi attendibili e prove inconfutabili, sollevando semplicemente dubbi, ponendo domande e cercando solo un civile confronto.

Il nostro magazine, senza padroni e seguito da chi crede nella libertà di pensiero nel rispetto degli altri (art. 21 della Costituzione Italiana), ospita interventi e contributi utili alla crescita collettiva e individuale, nel pieno rispetto della persona e adottando e diffondendo buone pratiche grazie ad una cultura della consapevolezza di sé e dei propri diritti inviolabili al fine di costruire e mantenere una società giusta.   

Prof.ssa, cosa sta accadendo nel mondo?

Questa situazione attuale ci porta immediatamente alla prima delle emozioni esistenti: emozione di ogni organismo vivente. “Emozione” viene da spinta all’azione: ogni organismo vivente per sopravvivere deve sviluppare delle capacità di percezione degli stimoli, che sono chiaramente sollecitazioni, si sviluppano le “antenne” o tutte le forme più arcaiche che poche poi progressivamente diventano il cervello che è diverso dalla mente.

La grande madre delle emozioni è la paura. Teniamo conto che qualunque iniziativa sociale che va a ricadere sulla popolazione deve tener conto dei vissuti emotivi delle persone iniziando proprio dalla paura in tutte le sue forme. Ci sono paure nel cervello arcaico che ci riportano ad esperienze traumatiche inconsce che si riaffacciano quando ci sono situazioni di minaccia. il cervello arcaico (emotivo) entra in allerta a livello inconscio perché riconosce subito i segnali che possono mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’essere vivente e in questo caso dell’umanità intera.

Noi dobbiamo fare i conti con tutte le emozioni però in particolare l’emozione più importante in questa situazione è decisamente la paura. Noi sappiamo, nel processo di Norimberga, come sia stato possibile che un popolo intero abbia potuto seguire una dittatura come il nazismo. La risposta è stata che non c’era bisogno di un nazismo: ci può essere una democrazia, una religione, il socialismo, basta fare leva sulla paura.

La paura detiene il controllo, su tutto, per cui se noi dobbiamo pensare a che cosa ci può essere dietro o comunque quali sono le implicazioni ultime di questa situazione a partire dalla paura che vediamo intorno a noi (paura di perdere il lavoro, di morire, di ammalarsi, di essere messi alla gogna).

Tutte paure che hanno echi soggettivi che si rifanno a vecchie paure personali che hanno a che fare con i propri traumi, con le proprie tragedie, coi propri conflitti che dànno una connotazione, una coloritura specifica a questa paura.

Per cui un dovere importante di tutti noi è riflettere su quando come e in quali situazioni abbiamo vissuto per la prima volta il tipo di paura che stiamo vivendo adesso, perché per ognuno di noi c’è la possibilità di scoprire un “risentito”. Cioè, in termini tecnici, rivivere inconsciamente una paura specifica propria, per esempio la paura di morire perché c’è stato un periodo di malattia nella vita della persona o di una persona cara, tute paure che si rifanno alle paure soggettive.

Quindi non c’è scampo?

Occorre usare la capacita di pensare in proprio: ok questa è una mia paura, però la mia paura, per quanto mi riguarda, può avere origine – che ne so – perché mi è morto il gatto. Però se la vedo da un altro punto di vista, posso riflettere su qual è la minaccia e il pericolo che c’è dietro a questa situazione, e da dove possono provenire eventuali intenzioni di controllo…

Basta riflettere, informarsi, andare a conoscere anche la storia perché la storia ci insegna tanto e la dimentichiamo troppo presto. Avere la possibilità di pensare in proprio e di andare a pescare nel proprio codice di valori. Allora, se dovesse esserci un disegno di controllo – qualora ci fosse – chiedersi: per quanto mi riguarda, a quali valori personali mi rifaccio per assecondare questa situazione?

E’ una riflessione, come ce ne possono essere tante, però sono riflessioni doverose: da una parte conoscere la storia e dall’altra domandarsi quale il valore ultimo, lo spirito e la sua importanza per me, per la mia famiglia, per la comunità, per la società.

Si può fare appello al proprio libero arbitrio?

Un arbitro deve conoscere la differenze tra ciò che è giusto e ingiusto, buono e cattivo, se l’arbitro non sa discernere qual è l’ eventuale danno che si reca, non può arbitrare. Perciò, quando noi parliamo di libero arbitrio dobbiamo prima essere liberi di arbitrare, cioè capire bene la differenza tra bene e male.

Avendo degli elementi. Ma se questi elementi vengono a mancare, o sono incompleti, ridondanti o monodirezionali, come si fa?

L’aspetto emotivo è un punto di partenza per capire di cosa abbiamo bisogno per poter arrivare ad una scelta operativa giusta. L’istinto di sopravvivenza è quella lampadina che si accende nel cervello emotivo arcaico di fronte a un pericolo. Però poi il pericolo dev’essere analizzato, ci dev’essere un discernimento per fare questo.

La responsabilità più importante – cioè l’abilità di rispondere con le proprie risorse – richiede conoscenza, studio, sapere, conoscere, informarsi, per non rimanere in superficie. E per non arrivare a decisioni in buona fede ma magari guidate “perché l’ha detto la tv”: siccome abbiamo bisogno di genitori virtuali che ci guidino e ci diano sicurezza, ci rifacciamo alle opinioni altrui.

Dovere e possibilità di ognuno di noi è fare atti di riflessioni profonde studiando, analizzando, conoscendo, non accontentandosi dell’apparenza. Certamente non abbiamo mai la certezza assoluta che siamo nella possibilità vera di conoscere tutto, però possiamo scoprire – soprattutto in quest’era in cui c’è una possibilità di comunicazione di massa mondiale – che possiamo andare a cercare, scandagliando nella rete (anche se molto spesso queste reti a loro volta sono piuttosto manipolate). Però bisogna arrivare con senso di responsabilità, e soprattutto senza paura, anche ad un’opinione propria.

Qual è il danno di una persona rassegnata, che non sceglie e che prende passivamente la via della pigrizia, della non esplorazione?

L’ accontentarsi di un informazione superficiale porta a conseguenze anche molto gravi, perché non ci si è presi la briga di confutare. Immaginiamo di avere un figlio malato: per pigrizia prendiamo la prima informazione che ci dànno, il primo orientamento su dove portarlo senza compiere una ricerca adeguata soprattutto se è una malattia grave, se è una malattia importante.

Di quale possa essere il medico migliore non avremo mai la certezza assoluta, però avremo messo tutte le nostre energie per avere informazioni, approfondire, aggiornarci e avere garanzie sulla preparazione del medico nelle mani del quale mettere nostro figlio. Immaginiamo di avere un figlio amatissimo che dobbiamo mettere in mano ad un medico perché gli salvi la vita.

Che facciamo, siamo superficiali, svogliati, distratti? Le probabilità che nostro figlio si salvi saranno molto più alte se cerchiamo un nome di eccellenza con provate capacità, e se prendere una decisione la più consapevole possibile.

Estremizzando, non potrebbe voler essere una sorta di induzione al suicidio di massa il provocare questa indolenza sociale dal mainstream?

Assolutamente sì, ma di questo tipo di induzioni ne è piena la storia, ecco perché dobbiamo studiarla: la storia ci racconta che questa pigrizia deriva molto spesso da un’ignoranza (non nel senso svalutante del termine ma intesa come mancanza di conoscenza), che richiede invece un impegno profondo, importante per il bene pubblico, per il bene sociale, per il bene della famiglia, per il bene del figlio.

Per cui l’induzione ci può sempre essere perché gruppi di personaggi sconosciuti che stanno nell’ombra e che possono voler manipolare le coscienze e tenere il controllo ci sono sempre stati: è dalla storia che dobbiamo imparare perché la storia insegna.

E il non poter identificare un colpevole, non le sembra incredibile?

Certo, perché se ci dovesse esserci un disegno di controllo di massa questo sarebbe piuttosto cavilloso al fine di non farsi identificare. Però oggigiorno le bugie hanno le gambe più corte del solito: è più facile in breve tempo scoprire molto di più. Sempre se, però, ci si impegna.

Proviamo a indurre un attimo la riflessione cosciente: perché il ragazzo corre a fare le file per vaccinarsi senza sapere a cosa può andare incontro? Da una parte perché si fida dell’opinione pubblica, dalla tv, dalle pressioni che ci sono. Dall’altra perché, essendo un ragazzo, ha dei bisogni impellenti legati alla propria età per esempio: poter stare in gruppo con gli amici, poter andare a ballare, potersi divertire, poter essere parte di un gruppo, evitare di essere ridicolizzati…

I problemi e i bisogni: risaliamo al discorso delle emozioni – ma anche dei bisogni (di intimità, di identità, di appartenenza) – che tendono a soddisfare attraverso la partecipazione in comunità, anche se poi ci sono molte alterazioni. I tipi di comunicazione attuale alterano molto il vero, genuino, non mediato scambio di idee.

Ci sono moltissimi ragazzi intelligentissimi che fanno gruppi di riflessione e si confrontano civilmente, che fanno cose anche molto belle di volontariato e di ricerca, che possono arrivare a pensare in maniera profonda e a scoprire il valore delle cose. La superficialità è data dal tipo di comunicazione che si usa (nei social un messaggio dura una frazione di secondo, non c’è tempo di elaborare né di scoprire il valore di una notizia). Urge di più essere accettato dal gruppo che scoprire il valore di una cosa.

Secondo lei i social favoriscono la quantità di notizie a scapito della qualità delle stesse?

Sì, è come dire: un oceano di conoscenza con un centimetro di profondità. E poi, cercano emozioni invece di sentimenti, i ragazzi. La ricerca spasmodica di emozioni dipende dalla solitudine derivante dalla mancanza di un rapporto di sana e autentica intimità emotiva. Il sentimento implica un investimento personale importante di cui i ragazzi hanno molta paura per tutta una serie di motivi.

Come gli adulti: adesso stiamo vivendo un periodo di grandi paure nelle relazioni, nella conoscenza: si ha paura di mettersi in gioco perché c’è un’alterazione molto profonda dei valori in questa fase precisa storica. Mi auguro sia un momento di passaggio: nelle varie guerre e situazioni conflittuali a livello mondiale ci sono stati momenti di grandi riflessioni che hanno portato a grandi rivoluzioni di cambiamento.

Quindi antropologicamente può non essere irreversibile, questa tendenza?

Vico insegna (corsi e ricorsi storici): l’uomo è riuscito a sopravvivere grazie ad un’evoluzione continua, “catena causale” la chiamo io, o passaggio di “memorie quantiche” da una generazione all’altra, che comporta da un lato un’eredità di talenti, di conoscenze.

I bambini di oggi hanno un’intelligenza superiore rispetto a quelli di ieri (cosiddetti “b.ni cristallo, indaco”, etc.), b.ni che hanno livelli di coscienza, intuizione e maturità decisamente superiore ai quelli di pochissimi anni fa. Però sono b.ni che – proprio per queste qualità – hanno esigenza di orientamento, di educazione e di guida molto più forte, molto più all’altezza.

Avendo esigenze profonde molti sono accusati di essere ipercinetici, disattenti, in realtà hanno solo bisogno di stimoli diversi: appena vengono loro dati stimoli adeguati immediatamente cambiano atteggiamento, perché i bisogni sono profondi e non conoscibili, e i piccoli non hanno la capacità di esprimerli.

Ma se si insegnasse loro a soffermarsi di più, e quindi fare una costruzione logica, come il pensiero classico insegnato dagli antichi greci?

Non c’è la preparazione adeguata: io ho fatto la formazione a 100 provveditori d’Italia, presidi d’Istituti e professori, e una delle osservazioni era: “ora viene la psicologa ad insegnarci dopo tanti anni”… La riscoperta della riflessione della coscienza, “rendersi conto di rendersi conto”, è nel momento in cui mi osservo che ho la capacità di discernere fra la mente e quella parte di me che agisce, pensa e sceglie senza consapevolezza. E’ solo allora che – con la mente – io posso dire: “ma cosa sto facendo?”

E’ nota l’esperienza fatta sul suo Protocollo di Coscienza: ce ne parla?

Nel carcere di Opera, con i reclusi del 41bis “fine pena mai”, è stato fatto un lavoro sul Protocollo di Coscienza che ho messo a punto io proprio portando le persone attraverso un dato processo (chi si è occupato di ciò ha messo su il movimento Nessuno tocchi Caino).

Attraverso cioè la possibilità di risvegliare la coscienza, a fare differenza fra espansione ed elevazione, la scoperta dei valori e dell’importanza ultima per se stessi e per l’umanità intera di tante cose, sono arrivati ad un livello elevatissimo di trasformazione dell’animo, della coscienza, dello spirito etc.

Tanto che uno di questi reclusi ha dichiarato: “vi devo ringraziare con le lacrime agli occhi di questo lavoro perché adesso mi sento un uomo libero, posso lasciare ai miei figli un’eredità di valori”.

Questo significa che non ci sono limiti alla possibilità di crescere, di riflettere, di meditare, e che è un dovere importante per tutti noi, anche nel nostro piccolo, senza timore, magari parlando insieme perché lo scambio di opinioni – oltre che un arricchimento energetico – è veramente un’ ampliamento della coscienza e una possibilità di riflessione immensa.

Suggerire quindi di non censurare il confronto e lo scambio di idee, ieri come oggi?

Favorirlo e monitorarlo affinché lo scambio non sia critico, né giudicante. Ho messo a punto, e ne sto traendo grande soddisfazione, i Circoli di Qualità nati i Giappone tanti anni fa in aziende dove – dalla base in su – partecipano tutti per soluzioni. Poi adottati in Usa, io li ho applicati in famiglia, nelle mie sedute terapeutiche.

E’ un rituale sacro, in cui tutti portano i propri gratitudine per ciò che si e avuto gli uni dagli altri, ma anche disagio, con garanzia di non essere svalutati. Come quel bambino di 3 anni che dice: “Papà, dobbiamo fare un circolo perché ho un disagio”, e sta dando risultati eccellenti, cercando soluzioni insieme, condividendo stati d’animo. Sì, ritengo sia importante creare gruppi di scambio, ora più che mai.

Prossime attività?

Per anni ho avuto un Istituto dove facevo corsi e formazione manageriale in Italia e all’estero (Ifap, Enea, Consiglio dei Ministri, etc.); vorrei condurre piccoli gruppi dove fare riflessione insieme qui dove vivo ora, a Trevignano Romano.

Per info: giovannakiferle@gmail.com