Abbiamo intervistato la giornalista M. Vittoria De Matteis sul suo ultimo libro “Schegge di vita: Franco Ferrarotti“, biografia del professore emerito di Sociologia scomparso da tre mesi:
- Chi è il protagonista del suo volume?
” E’ Franco Ferrarotti, decano della Sociologia italiana, che – pur avendo insegnato a Chicago, Boston, New York, Toronto, Mosca, Varsavia, Colonia, Parigi, Tokyo e Gerusalemme – si è mantenuto umile”.
- Chi è per lei Franco Ferrarotti?
“Il mio professore d’università prima, il prefattore di un mio libro sull’educazione di genere e il testimonial televisivo delle mie trasmissioni poi (“La Rai incontra”, Raiplay, ndr)“.
- Che ricordo ne conserva?
“Lo ricordo come pieno d’entusiasmo, pieno di gratitudine per lo scambio dialettico, pieno d’eleganza, di acume e con un alto senso di integrità morale. E anche per il fatto che – da grande qual’ era – non si prendesse mai troppo sul serio”.
- Nell’ultimo libro del professore “Lettera a un giovane sociologo”, egli afferma che “La sociologia è vittima del suo successo”, e che “nei casi migliori è diventata giornalismo investigativo”. E’ vero, secondo lei?
“Direi di sì: il suo grande insegnamento sociologico – ma direi anche filosofico – si sintetizza nell’avere il coraggio delle proprie opinioni pensando con la propria testa, coraggio oggi minato da un’omologazione informativa acritica”.
- Apertamente laico, ogni 17 febbraio presenziava alla deposizione di fiori sotto la statua di Giordano Bruno a Roma per la sua ricorrenza, vero?
“Altro grande insegnamento e suo punto nodale ineludibile: il pensiero critico. Confronto = libertà, dogma = schiavitù. Quale esempio migliore di Giordano Bruno?! In tempi di ostentato cinismo, dove la libertà di stampa è minacciata, e la satira è censurata, “spaventa” chiunque eserciti il diritto di “pensare” inteso come nutrire dubbi e verificare, soppesare e approfondire.”
- A modo suo un rivoluzionario, quindi…
“Altrochè, ma preferiva definirsi un outsider: anche sulla razionalissima scienza, diceva con coraggio e amarezza che più che dalla parte dell’umanità, è spesso da quella di chi la finanzia”.
- Non solo fautore del Movimento di Comunità con Olivetti, non solo direttore della gloriosa rivista Critica Sociologica per mezzo secolo, non solo insignito – fra gli altri – del prestigioso Premio alla Carriera dell’Accademia dei Lincei… cosa ama ricordare del suo professore?
“Ricordo i racconti delle conversazioni con una donna della Magliana (borgata romana, ndr) nel suo libro ‘Vite di periferia’: L’approccio qualitativo – spiegava – richiede la massima attenzione del sociologo, la sospensione delle sue convinzioni teoriche, il far ricorso a sensibilità e cultura. Credeva nell’Analisi qualitativa della ricerca sociale, cioè credeva nelle Storie di Vita, “perché l’oggetto della Sociologia non è un oggetto ma una persona”.
- Dell’esperienza industriale di Ivrea cosa resta, secondo lei?
“Il discorso sarebbe lungo, diciamo che – all’epoca – il messaggio era: va bene perseguire il profitto però non solo in termini contabili, ma all’interno di una visione più ampia, con senso della comunità. Pochi, oggi, gli imprenditori italiani illuminati che mettono in pratica questa visione”.
- Quali i temi studiati a lui più cari?
“Il potere, la società agricola, l’urbanizzazione, i salari e – più in generale – le persone, dagli adolescenti agli anziani. I primi, grandi assenti dalle politiche sociali e dalla vita pubblica, occupati come sono ad avere sempre di più, a possedere oggetti, a vendersi per uno status, come vuole un’ incultura – anche mediatica – dell’avere più che dell’essere, per evitare che si pongano domande. Ferrarotti poneva l’accento sul coltivare la propria vita interiore, soprattutto fin dalla giovane età”.
- Da quali pericoli ha messo in guardia Ferrarotti?
“Dall’alienazione, dal brain washing, dai posti che dispensano dipendenze legalizzate tipo Wincity della Sisal, dove fuori c’è scritto “Eat, drink, play”: dietro a questo inquietante slogan c’è un’agenzia di digital marketing nata a Sidney nel 2009. Questo non luogo – con vetri oscurati per perdere la cognizione del tempo e con uso di marketing olfattivo e cromatico negli arredi – vara anche da noi un’idea di stile di vita basata sulla sedazione sociale, sull’intrattenimento tossico e sull’istigazione a dca (disturbi del comportamento alimentare, ndr), ludopatìa e policonsumi. E questi non luoghi hanno la fila di adolescenti fuori, con lo sguardo perso come fossero automi, oggetti”.
- Come si poneva nei confronti della gente comune, oggetto dei suoi studi?
“F. era contro la reificazione umana, lo svuotamento dello spirito, l’allienazione umana, il consumismo dei rapporti personali… Ed era dalla parte dei più deboli, li ascoltava e dava loro voce: ‘Siamo stanchi di pagare per gli altri e avere servizi pubblici essenziali sempre più scadenti’, diceva già nel suo famoso libro sulla Città Eterna ‘Roma da Capitale a periferia’ esplorando la marginalità urbana”.
- Quale altra categoria di persone aveva preso in esame?
“Non amava il termine terza età, parlava piuttosto di longevità sana, e lui ne era un esempio concreto, vivendo secondo natura e a contatto quotidiano con le sue piante chi che amava. Ammirava chi riuscisse a mantenere la propria autosufficienza fisica a contatto con la natura coltivando anche una sana, stimolante vita di relazione”.
- In conclusione, il suo volume può definirsi quasi un omaggio alla persona?
“Senza il ‘quasi’; inoltre, ho trovato nella casa editrice Odradek piena consonanza di idee sul personaggio: Franco Ferrarotti e gli antropologi Ida Magli e Armando Catemario hanno tracciato la strada della mia formazione, confermando e ampliando la scala di valori indicatami dai miei genitori. Ed è grazie a loro che ora leggo la storia come un orizzonte di senso, e non solo come un elenco di date”.
“Schegge di vita: Franco Ferrarotti” finito di stampare nel febbraio 2025, edizioni Odradek

